Da “Scenari Economici”.
Funziona la flat tax per l’emersione del “nero”? A giudicare dai numeri emersi in occasione di un recente question time tenutosi in commissione Finanze alla Camera, si direbbe proprio di sì.
Senza dubbio la tassazione ad aliquota fissa, corredata dall’assenza di tutta una serie di schiaccianti adempimenti burocratici, attira i contribuenti. Basti pensare che – sulla base dei dati disponibile da gennaio ad aprile 2019 – oltre 410 mila contribuenti hanno scelto il nuovo regime forfettario.
Numeri importanti, che sicuramente sono dovuti anche all’ampliamento delle soglie di fatturato e alla rimozione di alcuni paletti di accesso al regime, quali il valore dei cespiti impiegati nell’attività professionale o di impresa.
Non stupisce, infatti, il fatto che di questi 410mila ben 285 mila siano contribuenti che già esercitavano attività autonoma, e che sono transitati al regime forfettario provenendo da altri regimi (semplificato o, più raramente, ordinario).
Il dato più interessante, tuttavia, è quello del numero di aperture di nuove partite IVA che hanno scelto la “tassa piatta”, che si attesta appena sopra le 125mila unità, e che si vanno ad aggiungere, con i 285mila già citati, all’impressionante numero di 1 milione di partite IVA che già nel 2017 adottavano un regime di tassazione “flat” (contribuente in regime di vantaggio o forfettario).
Innegabilmente, quindi, la tassazione in misura fissa piace, probabilmente perché semplice, trasparente e priva dell’incredibile numero di adempimenti che ammorbano la piccola impresa non appena questa “osi” adottare anche solo il regime semplificato (fatturazione elettronica, esterometro, ISA, liquidazioni periodiche IVA…), con conseguente dispendio di tempo, energie e denaro.
Tutto questo, ci si domanda, aiuta anche sul fronte dell’emersione del sommerso?
La risposta, a nostro avviso, è indubitabilmente sì, e la ragione è semplice. E’ sufficiente fare un piccolo salto indietro nel tempo, ricordando come, sin dalla lontana introduzione della minimum tax, passando poi per i parametri, poi ancora per gli studi di settore, ed infine gli ISA, molti sono i soggetti che sono stati costretti a chiudere posizioni autonome per la sola e semplice ragione di non poter sopportare le spesso irragionevoli pretese di un fisco che pensa di poter fotografare le situazioni individuali, laddove tale fotografia in molti casi non ha senso.
Si pensi al caso della persona che esercita in proprio un’attività autonoma, magari in via accessoria, e contestualmente sia lavoratore dipendente. Non vi è solo il secondo lavoro a complicare il quadro: vi sono anche le persone che eserciterebbero attività in proprio a tempo perso, magari dedicandosi alla famiglia e lavorando nei ritagli di tempo. Ancora, si pensi caso ancora più comune: il giovane che tenta la strada dell’imprenditoria, per il quale si pretende, già a partire dal secondo anno, la produzione di risultati “predeterminati” tramite strumenti che (teoricamente) dovrebbero essere sempre più raffinati, e che invece troppo spesso forniscono esiti irrealistici.
La conclusione di questa ultra ventennale “caccia alle streghe” condotta contro i presunti evasori , ha fatto sì che molti titolari di partita IVA, stufi di sentirsi redarguire per la mancata congruità, coerenza, affidabilità ecc. ecc., e giustamente timorosi di incappare in accertamenti, abbiano preferito seguire strade più semplici: abbandonare l’attività autonoma oppure, peggio ancora, lavorare in maniera totalmente occulta al fisco, diventando, in questo caso, evasori veri e totali.
In entrambi i casi (abbandono dell’attività in proprio o evasione totale), è bene sottolineare che il danno per il sistema Stato non è limitato al solo mancato introito delle imposte: sono andati persi anche i contributi INPS dovuti dai contribuenti che sono “scappati” dal fisco troppo esoso. Contributi dovuti in maniera fissa, eventualmente ridotti per i forfettari, o magari proporzionali al reddito, come nel caso della gestione separata: non ha importanza, in ogni caso si tratta di tante piccole “briciole” che messe insieme, in una realtà come quella italiana composta in gran parte da micro realtà, divengono molto importanti.
Un motivo in più, questo, per riflettere sulla spinta che la tassa piatta, abbinata ad una semplificazione radicale del sistema, potrebbe dare all’attualmente stagnante economia nazionale.