L’intervento di Armando Siri (consigliere economico di Matteo Salvini)
In un editoriale pubblicato di recente sulle colonne di questo giornale Enrico De Mita afferma che la proposta di riforma del fisco tramite un’unica aliquota per tutti è un’idea stravagante usata per imitare soluzioni di altri Paesi, che elimina il criterio della progressività e può esistere solo nella mente di persone fuori dalla realtà.
Probabilmente il sottoscritto è assai stravagante, avendo formulato una proposta di legge che prevede l’introduzione di un’unica aliquota fiscale al 15% per persone fisiche e società di capitali. Una proposta descritta ampiamente nel mio ultimo libro «Flat Tax: la rivoluzione fiscale per l’Italia è possibile» che, debbo dedurre, il professor De Mita non abbia purtroppo ancora avuto il tempo di leggere. La stravaganza, mi consentirà il professor De Mita, non è sinonimo di non correttezza, ma piuttosto di pensiero divergente. E sulle tasse, come sui grandi altri temi inerenti all’organizzazione economica e sociale del Paese, la sfida allo status quo è quanto mai aperta. A questo proposito ci tengo a precisare che, almeno per quanto mi riguarda, mi occupo di flat tax da tempi non sospetti e di molto antecedenti la vittoria di Trump in America o di Theresa May in Gran Bretagna. Lo stesso vale per Matteo Salvini, il quale ha iniziato a parlare di flat tax nel dicembre del 2014, in occasione di un convegno organizzato insieme al sottoscritto e al professor Alvin Rabushka.
Entrando però nel merito, se la preoccupazione del professor De Mita è il rispetto della Costituzione in materia di tributi, allora voglio tranquillizzarlo sulla perfetta costituzionalità della nostra proposta di legge. Se è vero infatti che l’articolo 53 della nostra Carta fondamentale prevede un sistema tributario informato a criteri di progressività, non ci sono indicazioni su come questi criteri debbano essere applicati.
Le vie per mantenere una tassazione progressiva sono molte: si può scegliere la soluzione delle aliquote a scaglioni, oppure quella su cui abbiamo puntato noi di un’unica aliquota a deduzioni differenti da applicare secondo criteri diversi, come ad esempio la composizione del nucleo famigliare e quella dei redditi famigliari.
Da troppo tempo sentiamo argomentazioni accademiche di varia natura sul tema fiscale, ma non abbiamo mai potuto discutere su un’effettiva idea di riforma che risolvesse il problema dell’evasione e, nello stesso tempo, favorisse una maggiore produzione industriale, maggiori consumi, minore burocrazia. Oggi una proposta esiste. Piaccia o no, abbiamo messo sul piatto il nostro modello di fisco per l’Italia.
L’introduzione di un’aliquota unica, tra l’altro già prevista negli ordinamenti fiscali di altre sette nazioni dell’Ue che ci fanno diretta concorrenza, ha tra gli altri lo scopo di far emergere l’economia sommersa e incentivare la voglia di tornare a fare impresa nel nostro Paese. Sia chiaro, questa riforma, ancor prima che economica, è una rivoluzione di pensiero con la quale finalmente si afferma che i frutti del proprio lavoro devono essere goduti a pieno da chi dimostra di avere capacità e voglia di crescere e non si accontenta delle elemosine di Stato. Tale principio ha poi un risvolto molto pratico in questo momento di deflazione ovvero un forte stimolo della domanda interna che può avvenire solo se si lasciano maggiori risorse nelle tasche dei contribuenti, risorse a cui lo Stato deve saper in parte rinunciare a favore di una loro circolazione nel tessuto economico del Paese.
Non è inoltre plausibile a mio parere parlare di armonizzazione fiscale pensando ancora una volta che questo significhi adattarsi agli standard tedeschi. Abbiamo già visto che uniformare i parametri per economie tanto diverse fra loro, come quelle europee, porta a maggiore povertà e stagnazione. Le tasse oggigiorno in molte circostanze sono diventate lo spartiacque tra la vita e la morte delle persone. Compito della politica è occuparsi del benessere per il maggior numero d’individui possibili: non del pareggio di bilancio, non di una rassicurazione generica dei mercati, ma dei cittadini e della dignità di un lavoro.
Prima che certi politici si lasciassero influenzare dall’idea che fosse più giusto cristallizzare lo stato patrimoniale del Paese a scapito del conto economico, non si moriva per le tasse. Forse avevamo maggiore inflazione, ma anche più lavoro, maggiore crescita e minori angosce per il futuro. Per tempi difficili come questi servono proposte nuove e soluzioni fuori dagli schemi. La flat tax è una di queste. Ce ne sono altre? Ben vengano, se ne discuta senza pregiudizi di sorta, altrimenti rischieremmo di finire allo stesso modo di sempre: si predica bene e si razzola male, con la scusa che tanto il mondo non si può cambiare.
Armando Siri
(fonte Il Sole 24 Ore )