L’INTERVISTA ARMANDO SIRI
Di Sarina Biraghi
L’economista spiega la flat tax: «Basta scaglioni, la tassazione va portata al 15 per cento. Pagando meno, pagheranno tutti»
Un excursus nella storia delle gabelle non per niente l’autore definisce quello dell’esattore il mestiere più antico del mondo, per arrivare a dire che non è un’utopia pensare a un’aliquota unica fissa al 15 per cento. È questo Flat tax- La rivoluzione fiscale in Italia è possibile (Passaporta), l’ultimo libro di Armando Siri, giornalista, studioso di economia, filosofia, scienze umane, nonché responsabile economico della Lega e consigliere economico di Matteo Salvini. Nel libro Siri spiega chiaramente come la recessione e la stagnazione, fenomeni noti nel nostro Paese, hanno cause precise ma possono diventare un’opportunità da sfruttare con coraggio. E la riforma fiscale può essere lo strumento del cambiamento e della ripresa.
Siri, perché una flat tax del 15 per cento e non del 18 o del 13?
«Perché il 15 per cento è l’aliquota mediana possibile, che concilia le esigenze di finanza pubblica con quelle di far giungere il beneficio della riforma al più alto numero di contribuenti possibile. Per esempio il 20 per cento sarebbe un’aliquota eccessiva, se consideriamo che oggi chi paga il 23 per cento, per effetto delle deduzioni e delle detrazioni fiscali arriva a una tassazione netta dell’11 per cento. Per arrivare allo stesso risultato avremmo dovuto creare diverse tipologie di deduzione, ma avremmo perso la semplificazione».
E cambiare quanto può valere?
«Cambiare vale la ripresa del Paese, che oggi si accontenta degli zerovirgola. Per far ripartire i consumi, e di conseguenza la produzione e l’occupazione, serve più denaro in circolazione, e non è certo il Qe (quantitative easing) della Bce, che rimane in pancia alle banche e non finisce a famiglie e imprese. Quindi o se ne stampa di nuovo, oppure si lascia che quello esistente resti nelle tasche dei contribuenti e non venga assorbito dallo Stato sotto forma di imposte. Con la nostra riforma parliamo di 48 miliardi per le famiglie e 15 miliardi per le imprese. Soldi che darebbero una spinta potente alla domanda interna al palo da otto anni».
Gli italiani arriverebbero a capire che le tasse sono belle?
«La tassazione rispetterà la progressività prevista dalla nostra Costituzione, ma anziché con aliquote a scaglioni, con un’unica aliquota con deduzioni per ottenere una progressività entro il massimo del 15 per cento. Con una tassazione equa e un aumento delle sanzioni non ci saranno più scuse e chi evade sarà chiamato a pagare un conto salatissimo. Non sarà bello pagare, ma l’equità fa cambiare mentalità».
Ma quanto coraggio serve per questa rivoluzione?
«Il coraggio sta nell’accettare l’idea di poter stare meglio di come stiamo oggi, di riconoscersi l’opportunità di godere dei sacrifici del proprio lavoro senza portarsi dietro i sensi di colpa di una società che ha sempre voluto punire ricchezza, talento e intraprendenza. Come accade a chi svolge un lavoro autonomo, ma anche a quei dipendenti che si sono sempre visti portare via fino all’80 per cento dell’importo degli straordinari perché superavano lo scaglione. Ora l’alternativa c’è, ma bisogna volerla e sostenerla».
Con la sconfitta dell’evasione?
«L’obiettivo di un fisco più semplice e più leggero, così come previsto dalla flat tax, è proprio quello di allargare la base imponibile. Oggi alcuni studi dicono che un terzo del nostro Pil è sommerso. Secondo la Guardia di finanza ogni anno mancano all’appello 109 miliardi di imposte. In tutti i Paesi dove si è fortemente ridotto il carico fiscale, c’è stata un’emersione fino all’80 per cento. A noi basterebbe il 40 per cento per ottenere almeno 50 miliardi di gettito in più. L’inasprimento delle sanzioni contribuirà al rispetto delle nuove regole».
Ma perché, allora, il governo precedente non ha recepito la sua idea?
«Renzi aveva capito che l’unica strada possibile per la ripresa era l’abbassamento delle imposte, ma non ha avuto il coraggio di andare fino in fondo. Si è limitato a piccoli ritocchi e ha preso la strada più facile ma inutile delle elemosine di Stato. Lo stesso vale per il jobs act. Renzi ha continuato a non voler capire che l’economia italiana non è uguale a quella tedesca, francese e spagnola. Da loro ci sono poche grandi aziende che fanno il Pil nazionale, da noi invece ce ne sono 4 milioni e sono microrealtà con massimo cinque dipendenti. A queste delle tutele crescenti non importava nulla perché erano sotto i 15 dipendenti e la decontribuzione degli oneri sociali l’avevano già con la legge 407 del 1990. Renzi ha voluto indirizzare i suoi sforzi solo verso le grandi imprese, in particolare quelle che esportano dimenticandosi dei bisogni del piccolo artigiano, del commerciante e del microimprenditore».
Può questo argomento, la flat tax, essere un collante per il centrodestra che verrà?
«Di certo la flat tax è uno dei principali punti di convergenza tra Lega, Fi e anche Fdi. Tutti sappiamo che è dalla rivoluzione fiscale che passa la ripresa vera del Paese, tema su cui Salvini ha già messo la faccia. I cittadini italiani devono sapere che, se voteranno per noi, tra i primi tre punti del programma c’è l’introduzione della flat tax».
L’uscita dall’euro sarebbe possibile per l’Italia o è ancora un argomento out?
«Intanto bisognerà vedere se saremo noi a uscire dall’euro o l’euro a uscire da noi. La Germania non potrà mantenere a lungo la sua egemonia in Europa senza fare i conti con la povertà che ha creato. Noi abbiamo una moneta forte, ma siamo molto più deboli di quanto non fossimo con la lira. Chi difende questa unione monetaria a cambio fisso sono solo coloro che credono di difendere i loro capitali, mentre tutti gli altri cittadini sono allo stremo. Il tema non è come si chiama la moneta, ma tutto ciò che vi è connesso, come i protocolli di Basilea che di fatto impediscono l’erogazione di credito a famiglie e imprese. In Italia sono oltre 12 milioni i soggetti che non hanno il merito creditizio, perché magari hanno pagato in ritardo le rate del mutuo o un cliente ha pagato in ritardo la fattura sul castelletto auto liquidante. Il sistema nel suo complesso è fallito, perché mirava a privilegiare il consolidamento degli stati patrimoniali a scapito del conto economico. Non capisco certi imprenditori che preferiscono salvaguardare la capitalizzazione nominale della loro azienda a scapito del fatturato e della crescita. È un atteggiamento suicida. O forse solo speculativo, visto che vendono ad arabi e cinesi. La politica monetaria deve tornare ai singoli Stati, affinché ciascuno si misuri con le proprie caratteristiche economiche e possa scegliere di essere competitivo. L’Italia su questo non ha nulla da temere. Noi esportiamo servizi ad alto valore aggiunto e il made in Italy, che da solo vale più di dieci volte il Pil. Ma dobbiamo tornare a produrre in Italia. Ecco uno degli altri vantaggi della flat tax: far rientrare le aziende che hanno delocalizzato portando all’estero produzione, lavoro, imposte e ricchezza.
(fonte: La verità)